Wim Wenders torna al 3D che aveva usato per il suo studio su Pina Baush, Pina. L’oggetto dell’esplorazione plastico/filmica del regista tedesco questa volta non è la danza ma l’arte di Anselm Kiefer, un’arte che – data la sua monumentalità, la sua qualità architettonica e i suoi soggetti, ancorati alla storia della Germania, si rivela un match perfetto per Wenders. Anselm – nelle sale italiane in questi giorni – rivela Kiefer mostrandolo al lavoro sui suoi quadri enormi, tra le macerie delle sue installazioni – a cui si contrappongono quelle della Germania devastata dai bombardamenti – in bicicletta tra le opere negli studi sterminati che ha usato fin da giovane, in interviste di repertorio e conversazioni filmate di recente, e anche in alcune ricostruzioni drammatiche, a cui partecipano il nipote d Kiefer (che lo interpreta da ragazzo) e il figlio di Wenders.Il germe della collaborazione era nato 32 anni fa, dopo un loro incontro a Vienna

IL GERME di una collaborazione tra loro era nato trentadue anni fa, quando Wenders ha conosciuto Kiefer in un ristorante viennese di Berlino, dove l’artista stava allestendo la sua prima grossa personale alla Nationalgalerie. Durante il periodo dell’allestimento, i due si sono visti regolarmente, sempre allo stesso ristorante, dove si sono reciprocamente rivelati come da giovane Wenders volesse in realtà diventare un pittore e Kiefer, da parte sua, sognasse invece di fare film. L’idea del progetto comunque era tornata negli anni ma Wenders non aveva mai trovato un’idea di come sviluppare un film. Fino al 2019, quando Kiefer lo ha invitato a Barjac, in Francia, dove si era trasferito nel 1992 e dove sta tuttora la sua fondazione. È stato di fronte a quell’enorme complesso di edifici, giardini e tunnel – in cui ci avventuriamo durante il film e che sia concettualmente che visivamente sembrano riflettere non solo la scala ma anche la qualità archeologica e labirintica dell’opera di Kiefer – che Wenders ha intuito come avrebbe fatto il suo documentario.

In questa sua intuizione, il 3D diventa un linguaggio essenziale per scavare (come ha fatto Kiefer nelle viscere di Barjac) nell’opera dell’artista/amico che, gli ha detto dall’inizio, non voleva essere intervistato e consultato; o che Wenders lo riprendesse mentre lavorava (su questo ha poi cambiato idea). In effetti, Anselm si vive come un viaggio, nell’opera ma anche nella mente dell’ artista. «Non conosco nessun altro che abbia un’idea così vasta, illimitata della pittura. Kiefer non ha paura di niente», mi ha detto Wenders durante un incontro durante la promozione americana di Anselm . «Kiefer ha dipinto soggetti che altri artisti non si sognerebbero mai di toccare. Ha dipinto la Storia, il mito, l’universo. Ha dipinto il mio paese, la Germania; il nostro paese». Nel film, il regista sottolinea infatti l’ostinazione con la quale Kiefer, fin dai primi lavori, si è concentrato sulla Germania, sulla sua cultura e il suo passato. Secondo un’idea di identità tedesca che quel passato non poteva/doveva dimenticarlo. Per un giovane artista alle prime armi nella Germania dell’immediato dopoguerra, non deve essere stata una scelta facile.

«ANSELM ed io siamo partiti dallo stesso posto, in un paese che aveva smesso di esistere», mi ha detto Wenders – i due sono quasi coetanei. Al contrario di Kiefer, lui da giovane se ne è andato -a Cuba, in America, in Giappone. «Ho dovuto trascorrere tanti anni in America per poter accettare di essere tedesco. Un tedesco romantico», mi ha detto ancora Wenders che oggi vive a Berlino. Il senso profondo di quel movimento in direzioni geografiche opposte che però confluiscono in una ricerca condivisa è una delle grandi emozioni di questo film – allo stesso tempo grandioso e personalissimo.